Nel 2000 Boutic Caffè passa alla famiglia Di Feo, che oggi continua con Paolo nello stesso spirito con cui Sergio aprì la sua bottega: creare il miglior caffè artigianale nell’autentico spirito torinese delle cose fatte a regola d’arte.
Questa è Boutic Caffè, il caffè artigianale di Torino.
La passione per il buon caffè li stimola ad essere in costante evoluzione nello studio delle loro miscele. La scelta dei chicchi delle migliori piantagioni dà vita ad un catalogo completo ed assortito, composto da miscele di diversa intensità e provenienza.
Sperimentando i diversi blend, il rito del caffè si rinnova di volta in volta permettendo di spaziare dai caffè più corposi e decisi che ci danno la carica al mattino, fino a quelli dall’aroma esotico, fruttato o floreale, da degustare durante la giornata per intraprendere ogni volta un viaggio sensoriale diverso.
Torrefazione sabauda
Una sapiente selezione, la tostatura lenta artigianale e tanto amore: ecco i segreti di Boutic.
Sergio Negro arriva a Torino dal Monferrato nei primi anni ‘50 e comincia a lavorare come garzone tostatore in una drogheria nella centralissima piazza Carlo Felice a Torino, per poi diventare tostatore esperto.
Era una Torino dove la voglia di fare era protagonista a ogni livello.
Le botteghe artigiane di torrefazione erano la norma, proprio come quelle in cui Sergio impara il mestiere giorno per giorno, fino a che decide di mettersi in proprio.
Negli anni ’60 del boom economico apre la sua torrefazione. La chiama Harrar, in omaggio alla regione dell’Etiopia ad alta vocazione nella coltivazione del caffè. Poi il marchio si trasforma in Cita, un nome pieno di tanti significati: “cita” in piemontese significa piccola, perché si trattava di una piccola torrefazione artigianale; e “Cita” come la scimmia amica di Tarzan, perché la scimmia è un animale caratteristico delle terre di origine del caffè. Poi per comunicare una qualità sempre più alta ecco il nome Boutic nel 1971, nel pieno della crisi petrolifera e della recessione. Tempi duri, in cui anche due lettere in meno sull’insegna a filo di neon erano già un risparmio considerevole. Così ecco che la parola francese “boutique” viene piemontesizzata in Boutic.