Petricor è l'odore che si sente quando piove sulla terra secca, sui sassi, le foglie vecchie, sui muri a secco.
Il termine è stato coniato nel 1964 dai ricercatori australiani Bear e Thomas, creato componendo il greco pétra, pietra e ichór, essudato, sangue degli dei. È un odore tanto meraviglioso quanto ineffabile, che solo una costruzione poetica può rendere. E che varia a seconda di quale terra riarsa venga bagnata dalla pioggia. Ciascuno di noi ha in mente un momento in cui ha sentito quell’odore.
Quello di Giada porta al naso e allo spirito qualcosa denso di significato, che parla della sua Liguria.
Da bambina, Giada, andava spesso con suo nonno in quello che credo fosse il suo uliveto preferito, Cà Sottane. C’era una grande vasca d’acqua rettangolare, ci teneva le trote, una cosa insolita. Normalmente i pozzi in campagna sono rotondi e disabitati. Un paio di estati fa è tornata a Cà Sottane, ha ripercorso la sua infanzia, i suoi sapori, i suoi odori. Le scorribande estive, di quando tornava a casa fradicia dopo un temporale che ti coglie di sorpresa. E così, immersa in queste sensazioni, ha ritrovato molto di quello che aveva perso.
Il nonno non c’è più e nemmeno le trote, ma sono rimasti un albero di limoni e uno di fichi. Giada si è chiesta perché avessero piantato quegli alberi da frutta proprio lì, in mezzo al nulla, tra gli ulivi…non li ricordava nemmeno. Poi ha scoperto che i vecchi, specialmente d’estate, portavano con loro in campagna solo pane e salame, per dissetarsi attingevano ai pozzi e spremevano i limoni, mentre per un po’ di zuccheri, mangiavano fichi. Oggi possiamo portiamo con noi la bottiglia dell’acqua e i limoni li andiamo a raccogliere quando ci ricordiamo, mentre i fichi sovente li lasciamo a marcire. Anche questa è una forma di abbandono: dimenticare volontariamente una storia recente. Ma Giada non vuole farlo, vuole coltivare quella terra fatta di sassi, pietre e scaglie; vuole prendere quello che gli può dare, non dimenticare, non sprecare. Vuole, fortemente, valorizzarla.
In Petricor coltivano sassi perché è quello che gli hanno insegnato tanto tempo fa e che non hanno dimenticato: preservare quello che non puoi consumare nell’immediato, non buttare via niente, trasformare.
Petricor è un progetto di vita, per Giada. È la sua famiglia. È un’idea. È un lavoro, una grande passione. È la sua filosofia di vita.
È agricoltura, coltivano quello che il terreno e l’ambiente gli permettono
di coltivare e trafromano i frutti del lavoro in campagna in cose che gli piacciono.
È sostenibilità ambientale: si prendono cura del loro territorio, ne rispettano i ritmi, non usano prodotti che possano intaccare il suo equilibrio, vivono a stretto contatto con la natura e adottano pratiche agricole coerenti.
È anche sostenibilità sociale e economica: quello che fanno per la loro comunità, l’impatto delle loro azioni, l’attenzione per il lavoro dei loro collaboratori, i valori dei loro fornitori. La sostenibilità del progetto, degli investimenti, delle idee, delle innovazioni.
È cambiamento: la volontà di prendere le distanze dallo stato delle cose. La scelta di cambiare paradigma: prima di tutto il territorio e poi il prodotto. Perché il prodotto nasce dal territorio e se non ne abbiamo cura, il risultato non arriverà mai.
È innovazione: un’ondata di freschezza, di idee nuove, di energia. È l’uomo al servizio del territorio e non viceversa. L’uomo al servizio del territorio e nonviceversa. L’agricoltura di precisione, pratiche agricole rispettose dell’ambiente, una diversa gestione dell’impresa agricola, i principi di un’agricoltura che sia in armonia con la natura.
È tradizione: il sapere tramandato di generazione in generazione. L’esperienza, i racconti, gli errori e le vittorie di chi ha preceduto Giada. Il know-how. La vita di suo padre, agricoltore sensibile per cui la campagna è il luogo della libertà, di sua madre, una donna, una moglie, una mamma, una gran lavoratrice e un’imprenditrice.
La Liguria è una regione stretta dove tutto è risicato: è ruvida, ripida, difficile e fragile. L'entroterra non è solo un luogo ma le persone che lo abitano, le mani che l’hanno costruito, a fatica. Una comunità resiliente che vive di agricoltura, sparpagliata in tanti piccoli borghi. Un intricato groviglio di strade strette, di terrazzamenti sorretti da muri a secco e coltivati ad ulivi, frutteti, orti e vigne. Un’infinità di piccole imprese a conduzione familiare, paesi di poche anime, moltissime chiese e qualche bar. Il territorio è arido, è sassoso e impervio: qui crescono bene solo quelle piante che non hanno bisogno di molto, che si accontentano e nella difficoltà esprimono tutto il loro potenziale.
Il problema è l’abbandono: l’entroterra da solo non può sopravvivere, ha necessità di una costante manutenzione, dell’oculato intervento dell’uomo. Ma la terra spesso non interessa, sta in basso e per raggiungerla ti devi piegare, è un lavoro faticoso. Questa terra ha un potenziale immenso, inespresso, imprigionato in una cultura agricola che non sa né come né dove trarre nuove energie. La Liguria ha bisogno di rinascere, di investire sul potenziale espresso dai giovani, sulla loro creatività e su progetti innovativi di agricoltura sostenibile.
I prodotti Petricor sono genuini, naturali, semplici, buoni, puliti e giusti.
La loro filiera è chiusa, ne controllano ogni singola fase. Tutto ciò che producono proviene dalle loro campagne. Ogni prodotto è particolarmente legato a una stagione, a un periodo produttivo specifico e, per questo motivo, la disponibilità è limitata e soggetta al tempo della natura.