Il riso della Riserva, ricco di qualità organolettiche, è frutto di un’attenta e costante selezione.
All’apertura di ogni confezione si avvertono il profumo e l’originale fragranza del riso appena lavorato e ciò è particolarmente evidente nel caso del Riso Carnaroli integrale.
Al fine di garantire sempre un prodotto di eccellenza, la Riserva San Massimo seleziona solo le migliori sementi, certificate dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) varietà 100% Carnaroli. È evidente al primo assaggio la differenza di pregio tra quest’ultimo riso e varietà succedanee quali Karnak, Carnise e Carnise precoce, che possono a loro volta essere vendute con denominazione di vendita “Carnaroli”.
L’Azienda Agricola ha fatto una scelta di qualità: coltivare solo Carnaroli in purezza, dedicandovi circa 100 ettari, nonostante i tempi di maturazione di questo riso siano i più lunghi in assoluto – il ciclo vegetativo dura circa 165 giorni – e i rischi di produzione molti. Il Carnaroli è una varietà sensibile e delicata e con piante molto alte – raggiungono circa i 175 cm –.
L’occhio attento di Dino controlla la qualità di ogni confezione, sacchetto dopo sacchetto, e solo se tutto è perfetto, si procede con l’etichettatura, che viene eseguita manualmente. Il riso è pronto per la vendita.
Circondato da una natura incontaminata e lontano da strade di passaggio, il territorio agricolo della Riserva San Massimo dà vita a tre varietà di riso di altissima qualità la cui coltivazione avviene esclusivamente all’interno della Riserva: Riso Carnaroli, sia classico che integrale, il Rosa Marchetti e il Vialone Nano.
La coltivazione avviene esclusivamente all’interno della Riserva.
Il terreno che ospita l’Azienda Agricola San Massimo – un’ansa del fiume Ticino che nel corso degli anni ha modificato il suo percorso – si è rivelato di straordinaria fertilità. In tutta l’area si ritrova la presenza di un substrato torboso molto ricco, composto da resti vegetali e microorganismi che, a causa dell’acidità mantenuta dall’acqua, non si decompongono completamente, rendendolo così fecondo e consentendo di concimare poco i terreni, utilizzando ad integrazione, solo in alcuni casi, sostanze organiche (vinacce, sovesci e altre materie vegetali).
L’essenziale protezione della biodiversità e la salvaguardia delle colture tradizionali messe in atto all’interno della Riserva San Massimo sono testimonianza del rispetto delle misure conservative proposte dalle politiche agricole comunitarie, ma ancor prima della scelta impegnativa ma gratificante della famiglia Antonello – da decenni proprietaria della Riserva – che si è dedicata a tutelare la bellezza del luogo ed a sostenere le coltivazioni autoctone.
Il mantenimento dell’erba delle ripe sui campi, i solchi profondi attorno al loro perimetro (che raccolgono una riserva d’acqua fondamentale per il compimento del ciclo vitale di molte specie animali in casi di siccità e per la presenza delle rane nelle risaie), la rotazione delle colture, e in genere le tecniche di agricoltura integrata sono solo alcuni degli esempi di buone pratiche che hanno contribuito a mantenere inalterata la biodiversità locale, determinando anche l’unicità dei prodotti coltivati.
Ma non è solamente l’habitat in cui cresce questo riso a renderlo unico. Per garantire un prodotto di eccellenza, molta attenzione è dedicata a tutte le fasi di lavorazione.
Il processo di produzione delle diverse varietà di riso della Riserva San Massimo, dalla trebbiatura al confezionamento, avviene ancora in modo artigianale. Ciò permette al riso di mantenere integri il sapore, la fragranza e tutte le qualità organolettiche acquisite durante la crescita in questo habitat assolutamente naturale.
Fondamentali per garantire la qualità del riso Riserva San Massimo, sono l’impegno nei campi di Cristiano Guizzardi e la conoscenza di Dino Massignani, che segue la coltivazione del riso, passo dopo passo, stagione dopo stagione, al fine di mantenere in vita le migliori pratiche artigianali e allo stesso tempo introdurre elementi di innovazione di processo.
Raggiunta la giusta maturazione, il risone (il riso grezzo non ancora pilato) viene raccolto e subito essiccato in cascina, a basse temperature. La Riserva San Massimo, infatti, nonostante la normativa permetta ancora di essiccare il riso a gasolio, a fiamma diretta – con i fumi che raggiungono il chicco, lasciando residui e modificandone il sapore – essicca a gas metano, grazie a uno scambiatore termico che evita il contatto tra esalazioni e chicchi di riso. Oltre a garantire la salubrità del riso, questo metodo di essiccazione rende possibile l’utilizzo di temperature moderate, che mantengono integro e compatto ogni singolo chicco.
Tutti i processi produttivi all’interno della nostra azienda, dalla coltivazione al confezionamento, sono attentamente controllati e continuamente perfezionati.
La qualità di questo prodotto di eccellenza si avverte al primo assaggio, grazie ai profumi della riserva naturale e all’altissima tenuta di cottura, che garantisce sempre un risultato perfetto.
All’interno della Riserva San Massimo, un elemento naturale, l’acqua, è vera e propria linfa vitale. La Riserva si trova all’interno della Valle del Ticino, una realtà estremamente rara dal punto di vista paesaggistico. Il fiume che le dà il nome infatti è uno dei pochi corsi d’acqua di pianura ancora in grado di “divagare”, cioè modificare il proprio percorso dando vita a piccole diramazioni, lanche, stagni e tantissime “zone umide” temporanee.
Inoltre, il territorio è ricco di risorgive: dai ghiacciai delle Alpi, attraversando terreni di natura molto diversa, l’acqua emerge in superficie costretta dall’incontro con le terre impermeabili della bassa pianura Padana.
Nella Riserva le polle, le risorgive, sono 44. L’acqua sgorga purissima, limpida e ricca di sali minerali. Vanta una temperatura costante (9°-12°) e una portata sufficiente a mantenere in vita, in ogni stagione, il substrato vegetativo presente all’interno delle aree boschive. Questa acqua, che si arricchisce delle sostanze organiche che incontra attraversando i 400 ettari di foresta e il ricco terreno torboso della Riserva San Massimo, finisce la sua corsa allagando le risaie in modo naturale.
L’Azienda gode di una totale autosufficienza idrica. L’acqua approvvigiona tutti i campi, raggiungendo ogni terreno coltivato in modo diretto, e dunque sempre ugualmente pura e ricca di sostanze organiche.
L’inesauribile riserva d’acqua di cui gode l’Azienda, permette a molte specie animali di portare a termine il proprio ciclo vitale anche in casi di siccità e garantisce la presenza di tantissime rane nei campi, che contrastano in modo naturale il punteruolo d’acqua, un coleottero che mangia le radici del riso.
I fontanili, inoltre, garantiscono la vitalità e la mobilità di specie ittiche, anfibie, insetti e uccelli, sia nidificanti che svernanti.
Nel punto di incontro tra terreno permeabile e impermeabile, fra alta e bassa pianura, l’acqua sotterranea è portata a riaffiorare, dando vita alle cosiddette risorgive. Questi punti di emersione, determinati da cause naturali legate alla struttura del sottosuolo, vengono comunemente chiamati sorgenti se la “venuta a giorno” dell’acqua capita in corrispondenza di scarpate, polle se l’affioramento si trova a livello del piano di campagna.
La temperatura costante e la ricchezza di sostanze minerali dell’acqua delle risorgive (9-12°C in tutte le stagioni) determina zone di microclima fresche d’estate e tiepide d’inverno e isole ricche di biodiversità.
I fontanili devono invece la loro origine all’intervento dell’uomo. Si tratta di vasche di raccolta d’acqua realizzate nel terreno, generalmente a scopo irriguo, scavando in prossimità delle falde acquifere non affioranti oppure progettate sfruttando come punto di partenza una risorgiva esistente.
Autentico perché nasce nella Valle del Ticino, in un luogo naturale unico, ricco di biodiversità: la Riserva San Massimo, Sito di Interesse Comunitario.
Sostenibile perché tutte le fasi della coltivazione sono eseguite nel rispetto della biodiversità e per la salvaguardia dell’ambiente.
Tradizionale perché subisce un lungo processo di pilatura a pietra di 2 ore a granula fine per non stressare il chicco.
Delicato perché contiene gli aromi della Riserva e conserva le qualità organolettiche acquisite durante la coltivazione.
Genuino perché è irrigato dall’acqua pura delle nostre sorgenti e si nutre della sostanza organica di cui il terreno della Riserva è ricco.
Prezioso perché tutti i nostri campi hanno una morfologia che non è mai stata modificata negli anni, una superficie limitata e ciascuno un nome proprio.
La Riserva San Massimo, un’area naturale di oltre 800 ettari, costituisce il contesto ambientale più raro nel Parco lombardo della Valle del Ticino.
Aree agricole, brughiere, una foresta incontaminata ricca di risorgive e fontanili, sentieri con alberi da frutto autoctoni si alternano spontaneamente dando vita a una varietà paesaggistica unica, culla di una biodiversità in cui anche la fauna selvatica trova un habitat ideale.
Sito di Interesse Comunitario (SIC) dal 2004, e una parte di questo riconosciuta successivamente Zona a Protezione Speciale ( ZPS) – grazie alla varietà degli ecosistemi che ospita – la Riserva San Massimo rappresenta un importantissimo corridoio ecologico all’interno del Parco del Ticino: una porzione di territorio naturale in cui la continuità tra diversi habitat favorisce lo scambio genetico tra le specie vegetali e la migrazione della fauna, e quindi la conservazione della biodiversità.
In questo contesto vengono prodotti il riso della Riserva San Massimo – un Carnaroli Classico di altissima qualità, coltivato esclusivamente all’interno della Riserva, dopo aver selezionato le migliori sementi certificate di varietà 100% Carnaroli – e il miele, di Acacia o Millefiori, biologico.
Il riso ha ottenuto il marchio blu del Parco Ticino – Produzione Controllata, che identifica le aziende che utilizzano tecniche di agricoltura a basso impatto.
Il miele, prodotto secondo lo stesso principio di rispetto dell’ecosistema, è in disponibilità limitata: per non sfruttare le api, infatti, la maggior parte viene lasciata nelle arnie come naturale alimentazione di questi insetti.
L’unicità del luogo, testimoniata anche dalla presenza di un numero significativo di specie animali e vegetali a rischio d’estinzione, ha suscitato l’interesse di diversi Enti territoriali e dell’Università di Pavia.
Da anni la Riserva San Massimo ospita i ricercatori del Dipartimento delle Scienze e dell’Ambiente che svolgono osservazioni faunistiche di particolare interesse gestionale e conservativo.
Quello che colpisce nella varietà del paesaggio della Riserva San Massimo, è l’imponenza della foresta naturale che si sviluppa senza soluzioni di continuità per circa 400 ettari. Ontani neri, querce, pioppi e salici crescono a ridosso dell’antico terrazzo fluviale del Ticino, su un terreno solcato da fossi, lanche e paludi.
Si tratta di una foresta igrofila, un “unicum” su scala internazionale per caratteristiche ecologiche, faunistiche, botaniche e, più nello specifico, per l’alta diversità strutturale del suo soprassuolo e la complessità delle funzioni biologiche cui adempie.
Questo grande e suggestivo ecosistema forestale, con i campi che lo circondano, costituisce l’Azienda Agricola Riserva San Massimo, porzione di territorio divenuta Sito di Interesse Comunitario (SIC IT2080015) nel 2004 e successivamente Zona di Protezione Speciale (ZPS).
La scelta di tutelare questo luogo espressa dalla Comunità Europea, dovuta all’eccezionalità dell’habitat che ospita, ben si sposa con le intenzioni di salvaguardia della biodiversità che da anni sono alla base dei progetti, degli interventi e di ogni singola attività compiuta dalla proprietà, che dedica attenzioni costanti, tempo e ricerche al miglioramento del contesto ambientale nel suo insieme.
Da più di 10 anni sono piantumati oltre 80 km lineari di alberi da frutto a maturazione differenziata – meli, peri, pruni, ciliegi, albicocchi – che crescono in modo completamente naturale, lungo le carrarecce e le bordure dei campi coltivati. Dimostrazione di un perfetto ciclo naturale, i frutti vengono lasciati in loco, arricchendo il terreno di sostanze nutrienti naturali e incrementando le risorse alimentari per i molti animali selvatici della Riserva, e per gli uccelli migratori che ogni anno transitano sulla Pianura Padana.
Recentemente, sempre in linea con gli obiettivi di sostenibilità richiamati dalle politiche agricole comunitarie, l’Azienda Agricola San Massimo ha realizzato un progetto di piantumazione di 5.000 piante baccifere a bordura dei campi di riso: Rosa canina, Viburnum opulus, Prunus spinosa, Crataegus monogina, Rhamnus catharticus, Cornus sanguinea, Ligustrum vulgare.
La Riserva inoltre con la sua biodiversità è il contesto ideale per la produzione biologica di miele di Acacia e Millefiori. Il processo è totalmente naturale e le api non vengono sfruttate: il miele di edera viene lasciato nelle arnie affinché se ne nutrano durante l’inverno e solo un 70% di quello d’acacia e millefiori viene prelevato.
Gli obiettivi concreti sui quali sta lavorando la Riserva San Massimo a livello agroambientale, sono:
- il mantenimento delle attività agricole, sia per il loro valore di memoria materiale e quindi storico-culturale, sia per le ricadute positive, oggettive, che l’attività agricola a basso impatto determina a livello ambientale, nonché faunistico.
- Il consolidamento di una attività silvicolturale volta a conservare la preziosa diversità forestale e biocenotica, e in specifico a valorizzare le fustaie di ontano nero, i cedui di ontano, alla trasformazione dei robinieti in boschi mesofili, alla valorizzazione delle zone ecotonali per le loro funzioni di miglioramento della diversità ecologica e faunistica.
- L’aumento della decomposizione della materia organica naturale che trasferisce al terreno sostanze nutrienti quali funghi e microorganismi per favorire un accrescimento sano della pianta migliorando la durezza del chicco.
In questa alternanza ambientale unica nel suo genere, la fauna selvatica trova condizioni ideali per compiere il proprio ciclo vitale, soddisfacendo tutti i bisogni in quello stato di naturale libertà che la caratterizza, cioè senza dipendere dalla gestione umana diretta. Il tasso, il riccio, la volpe, la lepre, la puzzola, la faina, lo scoiattolo, il daino e il capriolo, reintrodotto con un progetto avviato nel 1999, sono di casa. E non solo. La presenza, ormai stabile, della Martora, carnivoro mustelide legato soprattutto agli ambienti forestali alpini e appenninici, che sta progressivamente colonizzando le aree prevalentemente coltivate della pianura del Po, ha spinto il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia ad avviare una ricerca, coordinata dal Prof. Prigioni e dal Dott. Balestrieri, sul comportamento territoriale e sulle preferenze ambientali di questo mammifero.
Nel cuore dell’alneta, il bosco umido di ontani, è presente una delle colonie di aironi nidificanti più importante d’Italia, costituita da garzetta, nitticora e airone cenerino. Altri aironi frequentanti regolarmente la Riserva sono l’airone rosso, talvolta nidificante, l’airone bianco maggiore, l’airone guardabuoi, la sgarza ciuffetto, il tarabuso e, negli ultimi anni, l’ibis sacro.
Durante la primavera, immergendosi nella foresta, è possibile ascoltare un vasto campionario di repertori canori, attribuibili a oltre 50 specie di uccelli nidificanti, rappresentati, per esempio, da picchi, rigogoli, torcicolli, cince, verdoni, cardellini, gufi, succiacapre. Tra i rapaci è frequente osservare la poiana, lo sparviere e il gheppio e udire il richiamo notturno dell’allocco e della civetta.
In inverno gli ambienti umidi della Riserva ospitano numerose specie di uccelli svernanti o di passo che vanno dai piccoli trampolieri, come il combattente, la pettegola, il cavaliere d’Italia, il beccaccino, agli anatidi, rappresentati in ordine di abbondanza relativa da germano reale, alzavola, marzaiola, mestolone e codone.
Tutto l’anno, invece, nelle acque che nutrono il terreno dell’Azienda Agricola, è possibile riconoscere, ma non pescare: trote, carpe, alborelle, lucci, cavedani, vaironi, anguille.
Il paesaggio che oggi contraddistingue l’Azienda Faunistico – Venatoria San Massimo deve le sue origini alla caccia.
Fino ai primi del ‘900 infatti questa porzione di territorio, ancora suddivisa in molteplici proprietà, era caratterizzata – come il resto della piana della valle del Ticino (in particolare quella sotto costa) – dalla forte presenza di marcite e risaie e da una quasi totale assenza boschiva.
Allo stesso tempo, il luogo risultava molto interessante da un punto di vista venatorio, essendo costeggiato dal fiume Ticino, e quindi caratterizzato da una grande abbondanza di zone umide, che favorivano la presenza di numerosi uccelli acquatici, come le anatre.
All’interno di un contesto prevalentemente agricolo, non erano rare le battute di caccia. I calendari venatori per altro erano molto meno rigidi di oggi ed era possibile cacciare tutto l’anno. Tra chi praticava quest’attività, c’erano cacciatori professionisti, ma anche una quota significativa di appassionati, per i quali era un vero e proprio hobby. Avendone la possibilità, alcuni di loro iniziarono ad acquisire porzioni di terreno dell’attuale Riserva San Massimo e, dal momento che la caccia richiedeva un ambiente non meramente agricolo – campagna pulita – ma anche boschivo, a protezione del contesto faunistico, determinarono l’inizio un processo virtuoso di creazione di un nuovo habitat locale.
Nel corso del ‘900 a San Massimo si succedettero diverse proprietà, tutte essenzialmente legate all’interesse per l’attività venatoria e, mano a mano, grazie all’acquisizione continua di nuove cascine e terreni, la tenuta si ampliò.
Dopo la seconda guerra mondiale, cambiata la logica economica, non più centrata sull’agricoltura, furono compiuti alcuni interventi sul paesaggio che diedero l’avvio a un processo di modificazione dell’habitat originale, favorendo l’insediamento di nuove specie animali, tra cui i fagiani. Le marcite vennero abbandonate, sostituite in parte da pioppeti, ma soprattutto da boschi di ontani e furono create, lungo il Ticino, molte lanche (stagni a forma di mezzaluna ricavati in anse di fiumi abbandonate dalla corrente). Ciò permise alla famiglia De Angeli, allora proprietaria, di rendere San Massimo una delle riserve più famose per la caccia di pianura e le battute al fagiano, frequentata con assiduità da molti esponenti dell’alta società.
Poi gli anni di piombo e la violenza che insanguinarono il Paese, segnarono un’inversione di tendenza. Una nuova mentalità ambientalista, particolarmente critica nei confronti di certi tipi di caccia, si impose e l’attività venatoria fu regolata in modo severo e restrittivo. Le riserve di caccia nella valle del Ticino assunsero una funzione di protezione dell’ambiente naturale, le battute di caccia diminuirono fortemente e tutto ciò favorì l’incremento di una popolazione di ungulati, quali caprioli, daini e cinghiali.
Sono stati condotti studi sull’eco-etologia del daino (Dama dama), attualmente presente con un alto numero di esemplari, sulla fedeltà al sito di nidificazione degli aironi coloniali rappresentati soprattutto dalla nitticora (Nycticorax nycticorax) e dalla garzetta (Egretta garzetta) e sull’inanellamento di uccelli acquatici con particolare riferimento agli Anatidi.
Negli ultimi anni è stata avviata una ricerca sul comportamento territoriale e sulle preferenze ambientali della martora (Martes martes), carnivoro mustelide legato soprattutto agli ambienti forestali alpini ed appenninici, che sta progressivamente colonizzando le aree prevalentemente coltivate della pianura del Po. Questa ricerca riveste particolare importanza sia per la sua originalità sia per l’elevato contenuto scientifico che contribuirà a colmare le gravi lacune conoscitive specialmente in ambito nazionale. La presenza, ormai stabile, di questa specie incrementa ulteriormente la biodiversità dell’Azienda Agricola San Massimo.
La Riserva San Massimo è meta abituale di escursioni didattico-pratiche per studenti dell’Università di Pavia impegnati nei corsi di laurea in Biologia e Scienze Naturali, tra i quali figurano gli insegnamenti di “Biologia delle popolazioni e comunità” e “Pianificazione faunistico territoriale”, impartiti dal Prof. Prigioni.