“Larino (CB) fine 1800, tenacia, coraggio e Vincenzo Mammarella Senior, un self-made man dalla “scorza dura” che punterà su quella cultivar autoctona che tanto gli fu cara: la “Gentile di Larino”.
Da allora ce ne sarebbero di cose da raccontare, “Ricerca e Sviluppo”, direbbe qualcuno oggi sistemando il nodo della sua cravatta, ma non loro, che preferiscono parlare dell’Evo di Don Vincenzo e delle conserve della Nonna.
Si, perché lei, la nonna, garantiva la filiera coltivando e trasformando soltanto il suo, per questo Vincenzo Mammarella Jr. l’attuale custode della esperienza tramandatasi di generazione in generazione, ha scelto di non fare della sua azienda agricola un semplice conservificio ma di rispettare il volere ed il rigido disciplinare imposto ai tempi dalla nonna.
Per l’olivo e gli ortaggi è adottata dunque una coltivazione completamente naturale, trasformando solo ciò che cresce nei loro campi, assicurando ancora oggi la filiera. Comprare per trasformare? Chi lo fa non ha il diritto di raccontare un prodotto, perché in fondo di prodotti non ne ha mai avuti.
Siamo alla fine del 1800 infatti, quando Vincenzo Mammarella Senior, un omone lungimirante classe 1880, grazie a tanti sacrifici e una incrollabile determinazione riesce ad ampliare l’azienda del padre Pietro (un altro giovanotto della classe di ferro 1850) e decide di puntare principalmente sulla produzione dell’olio.
A partire da allora ce ne sarebbero di cose da raccontare, però vogliamo cominciare dall’aneddoto più genuino che Vincenzo Mammarella Jr, l’attuale custode della esperienza tramandatasi di generazione in generazione, sicuramente menzionerebbe se qualcuno gli chiedesse di scavare tra i suoi ricordi e di parlare della sua azienda, una polaroid di un’epoca: “C’era quest’olmo enorme, dalla chioma davvero immensa e sotto quell’albero una lunga tavola che sembrava perennemente apparecchiata, dove mangiavamo e ridevamo tutti insieme a pranzo e a cena, familiari e collaboratori…per un bimbo come me era qualcosa di incredibile”.
Alcuni oggi con orgoglio parlerebbero del cosiddetto “fare il passo“, il bisnonno Vincenzo, invece, non possedendo tali nozioni, scelse un’altra parola, più spigolosa, più dura, ma dall’indubbio legame con l’innovazione: meccanizzazione. Nel 1952 fu acquistata la prima trattrice, gli animali da soma diventano un vecchio ricordo e, per la prima volta, il “canto“ dell’ om 35-40, sostituisce quello corale delle persone, che soleva scandire il duro lavoro nei campi. Nello stesso anno, con l’acquisto di un aratro bivomere caccialanza ed una mietilegatrice mc cormick, l’azienda diventa una delle prime meccanizzate in italia, il bisnonno era riuscito nel suo intento: innovare
Roma 20 marzo 1955 – un giorno importante.
L'azienda è insignita di un premio per la produttivita’ dal ministro per l’agricoltura e le politiche forestali, Giuseppe Medici. È sua la firma olografa sul documento. All’interno della categoria piccole aziende di collina, il loro podere si classifica come la terza miglior azienda agricola a livello nazionale per l’aumento della produttività relativamente all’annata 1953-54.
Gli oliveti di famiglia sono condotti seguendo una ricetta che prevede un armonioso abbinamento tra innovazione e tradizione, anticipando il momento della raccolta per garantire l’integrità delle componenti aromatiche e fenoliche, professando “il credo” della spremitura a freddo entro le prime 10 ore dall’arrivo delle drupe in frantoio.
Gli ortaggi sono coltivati adottando un disciplinare interno molto rigido, il risultato è una coltivazione completamente naturale. Com’è possibile? Tutte le operazioni colturali sono effettuate a mano. Immaginate un solco lungo 160 metri con 1000 piante di pomodoro, per ognuno di questi c’è un collaboratore che, munito di pazienza ed esperienza, una piantina alla volta, estirperà a mano le erbe infestanti (cosiddetta scerbatura), tutto il resto è acqua sole e vento.